S. Agostino - Toscanella - Il blog dei tuscanesi

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S. Agostino

Luoghi di Tuscania

LA CHIESA ED IL CONVENTO DI S. AGOSTINO A TUSCANIA
di Giuseppe Giontella

La notizia più antica che attesta la presenza a Tuscania dei frati dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino nell’omonimo convento è del 1275. I frati dovevano essere abbastanza numerosi ed erano diretti da un Padre Priore. Conosciamo il nome di un Padre Priore soltanto nel gennaio del 1393: si tratta di Frate Egidio da Corneto, che difese in tribunale alcune prerogative usurpate ai frati del suo convento.

Dalla lettura dei documenti d’Archivio, risulta che gli Agostiniani furono sempre benvoluti dalla popolazione di Tuscania: fin dal 1313 troviamo una devota tuscanese, donna Guidetta vedova di Gezzo Falchi, che, per la salvezza dell’anima, istituisce un legato testamentario destinato a finanziare alcuni lavori di ristrutturazione della chiesa di S. Agostino non specificati nei dettagli. Un altro legato testamentario, del 1348, è devoluto alla Cappella della Confraternita dei Disciplinati di S. Agostino, che, nel 1523, venne trasferita da S. Agostino nella Chiesa di S. Maria della Rosa, dove cambiò divenendo la Confraternita del Gonfalone.

I fedeli vollero ricostituire altre due Confraternite: quella dei "Centuriati di Santa Monica" (in onore della madre di S. Agostino) e quella della "Madonna del Carmine", che furono attive per diverso tempo. Troviamo i "fratelli" di queste due Confraternite andare in processione ancora nel 1704.

Nonostante le proprietà immobiliari, spesso le entrate non riuscivano a fronteggiare le spese per i lavori straordinari di manutenzione della chiesa e del convento. Gli archivi tuscanesi conservano testimonianze della generosità sia del Comune che di privati cittadini: numerosissimi sono (oltre a quelli citati) i legati testamentari istituiti a favore degli Agostiniani lungo il corso dei secoli, fino alla fine del Settecento, soprattutto da parte di quei cittadini che desideravano essere sepolti a S. Agostino.

Anche nelle deliberazioni del Consiglio comunale si trovano molte notizie di sovvenzioni in denaro o in beni (legna, carne, pane, ecc.) concessi dal Comune per lavori di consolidamento e di restauro.

Gli Agostiniani hanno abitato il Convento e officiato la chiesa per oltre cinquecento anni, dal XIII secolo al 1798, quando vennero espulsi dall’invasione francese che dette vita alla Prima Repubblica Romana.

LA CHIESA

Gli elementi architettonici della primitiva chiesa romanica a navata unica sono ridotti a poca cosa, come le cappelle laterali a nicchione, ricavate nello spessore del muro e le finestre a strombo con arco a tutto sesto, che scandivano le pareti; così pure sono testimoni di questa prima costruzione la parte absidale esterna, dove restano masselli di tufo a fil di muro, e buona parte delle murature perimetrali, in conci quadrati di tufo.

Alle forme romaniche si sovrappose la ristrutturazione nel XIV secolo, in cui dominano gli elementi gotici, come lo snello finestrone a sesto acuto, che si affaccia su Piazza Italia, dal quale si irradia la luce nel presbiterio (originariamente era una bifora di cui rimane solo un frammento della colonnina centrale), le mensole laterali dalle quali spiccavano gli arconi della volta, poi completamente trasformata e l’arco trionfale a sesto acuto slanciato, squisitamente gotico.

Il volume della chiesa, poi, era scandito da arconi ogivali di sostegno (rimangono solo alcune tracce), simili a quelli che si possono ancora ammirare nelle locali Chiese trecentesche di S. Silvestro, S. Biagio e S. Marco.

Qualche traccia di affresco tre-quattrocentesco si trova nel presbiterio (a sinistra del finestrone): si vedono solo due santi che affiancano una figura centrale scomparsa. Anche nella navata di sinistra (dopo la seconda cappella a nicchione) si possono ammirare i resti di una Natività di buona fattura. Vi sono altri frammenti di affreschi, ma ormai scarsamente leggibili.

Sotto il primo altare di sinistra di gusto barocco, dopo il terremoto è emerso un affresco rinascimentale che ornava il precedente altare: si nota la figura di un santo agostiniano su cui si legge la scritta: IN TRIBULATIONE EXUDIAM EUM.

La chiesa ricevette una qualificazione stilistica nella seconda metà del Quattrocento, quando venne aperta la cosiddetta "loggia" nella parete di destra, forse una cappella, di cui resta un soprarco di monofora laterale con decorazione trilobata e circolo centrale.

Ma la ristrutturazione più notevole di questo periodo si deve all’iniziativa di un noto esponente della nobiltà tuscanese, il prelato Paolo Ludovisi, avvocato presso la Sacra Rota, che volle aprire, sempre sulla parete destra, una sontuosa cappella.

L’ apertura della "loggia" e della cappella sconvolsero un po’ tutta la parete destra: alcune finestre a strombo vennero chiuse, come pure due altari a nicchione vennero demoliti. Paolo Ludovisi volle dedicare a S. Giobbe la sua nuova cappella, lasciandone testimonianza con un’epigrafe scolpita sull’architrave d’ingresso:

REVERENDUS PATER DOMINUS PAULUS DE LUDOVISIS DE TUSCANELLA IURIS UTRIUSQUE DOCTOR SACRI APOSTOLICI PALATI CAUSARUM AVOCATUS HOC SACELLUM DIVI IOBI DICATUM FIERI IUSSIT MCCCCLXXXVI.

Il 1486 è, quindi, la data di inizio della costruzione della cappella di S. Giobbe, i cui elementi caratterizzanti sono diversi. Si nota anzitutto il solenne grande arco di nenfro a tutto sesto e terminazione orizzontale: è interamente scolpito con bassorilievi raffiguranti candelabri, festoni e putti, oltre all’iscrizione citata: certamente lo scultore doveva conoscere molto bene gli stucchi delle "grottesche" della Domus Aurea romana venuti alla luce e ripresi, proprio in quegli anni, ad opera del Ghirlandaio e del Pinturicchio.

All’interno della cappella si apre il catino absidale, anch’esso incorniciato da un arco di nenfro ornato. Nel vano del catino c’era l’altare con il tabernacolo (oggi scomparsi), sopra al quale si può ancora ammirare il pregevole affresco della Crocifissione, attribuita alla scuola viterbese della fine del Quattrocento: il pittore ha rappresentato al centro il Cristo crocifisso ormai morto, con tre angeli che raccolgono in tre calici il suo sangue zampillante dalle mani e dal costato; sotto la croce, oltre alla Madonna (a sinistra) e a S. Giovanni Evangelista (a destra), assistono alla scena anche i membri della committenza: i nobili Ludovisi, sia maschi che femmine. il cartiglio sottostante l’affresco è redatto in volgare: ADI’ 7 DE MAGIO .M.CCCC.LXXXXII, ma è di fattura posteriore. Al centro della volta è collocato, a rilievo in stucco colorato, lo stemma di una famiglia seicentesca che ebbe il giuspatronato successivamente alla famiglia Ludovisi.

Sulle pareti laterali della cappella si aprivano due finestroni a strombo con arco a tutto sesto: quello di destra fu poi chiuso; quello di sinistra venne ridotto a finestra quadrata. Nella parete di destra è incastonato un tabernacolo cinquecentesco in nenfro, in prossimità del quale si trova un confessionale settecentesco in noce.

La chiesa fu nuovamente consacrata l’8 ottobre 1566, come si leggeva in una tavoletta "appesa dietro l’altare maggiore", riportata nella visita pastorale del 1881 effettuata dal vescovo Paolucci: "Anno Domini MDLXVI die VIII octobris consecrata fuit haec ecclesia S. Agustini".

Nei secoli successivi ebbe il patronato famiglia dei Conti Pocci, i cui membri, in particolare i due fratelli, il Conte Cesare (1810-1875) ed il Conte Mariotto (1813-1881): lo hanno conservato fino all’unità d’Italia.

Tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento era Priore del convento il Padre baccelliere Fulgenzio Pocci "Patrizio Tuscanese" (n. 1653 - † post 1710): egli fece ristrutturare a sue spese la chiesa (rimangono gli altari bianchi), poi restaurò ed arredò una parte del convento per l’accoglienza dei visitatori, dotandola anche con ricchi ornamenti ed arredi.

Questi restauri settecenteschi voluti da Padre Fulgenzio Pocci furono radicali: erano già precedentemente scomparsi i finestroni a strombo che si aprivano sulla parete di sinistra già al tempo della costruzione del convento. Venivano tamponate tutte le cappelle a nicchione per far posto ai sei altari (tre a destra e tre a sinistra) di gusto barocco, in pietra e stucco. Così pure scomparivano gli arconi ogivali gotici, mentre il tetto veniva realizzato a capriate. Fu certamente Padre Fulgenzio a far riprodurre gli stemmi della sua famiglia in cinque dei sei altari. Suo fratello Francesco Pocci (1654-18.08.1726), nel 1725, fece collocare l’epigrafe in marmo sulla parete di sinistra (ora spostata nella controfacciata, sotto la cantoria) per commemorare la recente morte del figlio Fabrizio (†17.8.1725) e di un altro suo fratello, Piergiovanni (†15.06.1724), ma anche con l’intento di celebrare l’antichità della sua famiglia, romana di origine, tuscanese per adozione, che a Tuscania fu sempre una tra le più cospicue, insieme a quella dei Fani, dei Giannotti e dei Ciglioni[1].

L’altare maggiore venne spostato in avanti, sotto l’arco trionfale gotico, e ricreato con un nuovo scenario barocco incastonato in un nuova cornice, terminante in un arco a tutto sesto, mentre l’abside divenne la sacrestia. Nelle pareti laterali si vedono ancora le due porte: a sinistra si ha l’accesso al chiostro, a destra si va nella "loggia", di cui restano oggi solo alcune tracce evidenti in pietra e qualche residuo di affresco.

All’ingresso della chiesa, sulla destra, esisteva una Madonna in terracotta di buona fattura, donata nel 1708 dal canonico Bartolomeo Bonsignori: rappresentava la "Maternità di Maria Santissima". Oggi rimane solo la preghiera, che il Bonsignori vi fece apporre in forma epigrafica (la Madonna è stata rubata diversi anni fa):

(SN) NOS CUM PROLE PIA (SN)
BENEDICAT ET LIBERET A PECCATIS, IMPROVISA MORTE,
FULGURE, TEMPESTATE, TERRAEMOTU, PESTE, FAME, BELLO,
IRA, ODIO, MORTE PERPETUA ET OMNI MALO
FILIA SPONSA MATER VIRGO MARIA
IMPLORAT HUMILLIME
CANONICUS BARTHOLOMAEUS BONSIGNORIUS *
1708

Anche la facciata della chiesa venne completamente rifatta: ora si presenta austera e semplice, con portale e finestra a cornici in pietra modanate, e con pinnacoli e basi superiori per statue, oggi scomparse (o mai collocate). Un semplice e tardo campanile a vela con due campane, venne collocato sul lato destro del tetto, sopra la cappella Ludovisi.

Nella citata visita pastorale del 1881 (vescovo Paolucci) si legge che nella chiesa vi sono sette altari:

- l’altar maggiore sotto l’invocazione della Madonna SS. Del Popolo;

- a destra (a partire dall’ingresso)  vi sono tre altari: il primo dedicato a S. Nicola da Tolentino, il secondo al SS. Crocifisso (Cappella Ludovisi, successivamente la famiglia Bassi ne ebbe il giuspatronato), il terzo è dedicato a S. Agostino e a S. Monica.

- anche a sinistra (a partire dall’ingresso) vi sono tre altari: il primo dedicato a S. Tommaso da Villanova, il secondo alla Natività di Nostro Signor Gesù Cristo, il terzo a S. Gaetano da Thiene.

"In tutti gli altari vi sono quadri in tela, ad eccezione dell’altare maggiore in tavola di antica e stimata pittura et il Crocifisso in muro di pittura antica e di qualche pregio creduta".

Allo stato attuale la chiesa, riparata e restaurata negli anni ’70 del Novecento, in seguito ai danni provocati dal sisma del 1971, si presenta come un vasto ambiente, spoglio di molti dei suoi elementi decorativi (in buona parte trasferiti altrove), ma ancora ricca di decorazioni e arredi, altari e cappelle, che ne restituiscono bene la storia e l’integrità, nonché la possibile funzionalità, mantenendo tutta l’importanza di luogo sacro e monumento pubblico di Tuscania, dove i diversi stili che si sono succeduti, il romanico, il gotico, il rinascimentale ed il barocco, sono stati armoniosamente evidenziati in modo da rendere più agevole la lettura dello sviluppo del tessuto architettonico lungo il corso dei secoli.

Dal 1903 al 1970 questa chiesa è stata sempre considerata come la chiesa dei giovani, perché in essa i ragazzi ricevevano la Prima Comunione, dopo tre giorni di ritiro spirituale, organizzato e diretto dal benemerito Conte Enrico Avv. Pocci, poi dai suoi due figli, di buona memoria: l’Ingegnere Fabrizio Pocci e Mons. Filippo Pocci, vescovo titolare di Gerico ed ausiliare per la diocesi di Roma.

Attualmente la chiesa è inagibile e chiusa al pubblico: dopo il terremoto, ciò che aveva di artistico è stato trasportato in altra sede, come la pregevole tavola dell’Altare Maggiore, rappresentate la "Madonna dei Raccomandati" conosciuto anticamente con il nome di "Madonna del Carmine", come abbiamo già vistto, o come "Madonna del Popolo" , unica opera del pittore viterbese Valentino Pica, realizzata poco dopo il 1466. E’ una tavola dipinta su due lati: in quello posteriore (verso la sacrestia) è raffigutrato S. Nicola da Tolentino, mentre in quello anteriore "…si rimira – scriveva l’arciprete don Giuseppe Di Lorenzo – quella vivacità d’immagini che non si riscontra nelle opere delle epoche che furono innanzi. E’ quivi dipinta Nostra Signora che, con ambe le braccia, stende l’ampio suo manto sotto del quale è ricoverato il popolo cristiano, riparato dai roventi fulmini che scaglia dall’alto l’eterno padre, terribile nell’aspetto. Parte di essi si arresta sul manto di Nostra Signora, gli altri colpiscono a morte coloro cui non toccò la ventura di cessare il castigo sotto l’usbergo del patrocinio di Maria. E’ assai ben espresso il popolo cristiano nelle figure che si vedono sotto il manto della Vergine, distinte in gerarchie, gradi e condizioni, perché vi sono papi, cardinali, vescovi, religiosi e religiose, magistrati, nobili e plebei, ciascuno coll’abito proprio della sua condizione e nel vero costume del tempo nel quale fu condotta tal pittura".

Nella sacrestia si conservava un quadro con il volto del Redentore, che "nella tecnica e nell’espressione si rivela dell’epoca bizantina, tranne la fascia inferiore".

Per motivi di sicurezza la tavola è stata trasferita altrove, mentre il quadro con il volto del Redentore si trova presso il palazzo vescovile di Viterbo.

La cantoria, posta sopra l’ingesso principale è stata utilizata fino al terremoto, ma subito dopo l’organo settecentesco è stato portato nella chiesa parrocchiale di S. Marco.

IL CONVENTO

Come abbiamo già accennato, con l’occupazione dei Francesi del 1798 arrivò anche la soppressione dei Conventi. Gli Agostiniani di Tuscania, il 21 aprile 1799, vennero trasferiti a Corneto, presso i loro confratelli del convento di S. Marco (attuale sede della Scuola Media "E. Sacconi") e non fecero mai più ritorno a Tuscania.

Poco tempo dopo la fine dell’Impero Napoleonico, nel 1816, il vescovo di Viterbo e Tuscania, Card. Severoli, d’accordo con la Santa Sede e l’Ordine degli Agostiniani, istituì il seminario nei locali dell’ex-convento di S. Agostino che, dopo l’unità d’Italia, ospitò anche alcune classi delle scuole elementari.

Durante la Prima Guerra Mondiale, alcuni locali del seminario di S. Agostino furono utilizzati anche come laboratorio per la manifattura di fasce, passamontagna e guanti di lana destinati ai soldati che combattevano al fronte: dirigeva il laboratorio un’inviata dagli Stati Uniti d’America, Miss Ada Martin, coadiuvata da numerose operaie ragazze di Tuscania.

Finita la Grande Guerra, oltre al seminario continuarono a convivere insieme anche alcune classi delle elementari: la prima e la quarta maschili al piano superiore (in una stanza dentro l’altra!), mentre la classe terza era ospitata al primo terreno. Anche le aule scolastiche dei seminaristi, la cucina ed il refettorio erano al piano terreno, mentre i loro dormitori si trovavano al primo piano.

Nel seminario vennero, poi, predisposte due nuove aule per le classi settima ed ottava elementare, che non entrarono mai in funzione.

Il seminario fu chiuso definitivamente nel 1928 (i seminaristi furono trasferiti a Viterbo), ma dopo appena qualche anno l’ex convento degli Agostiniani divenne il ricovero provvisorio degli sfollati della Seconda Guerra Mondiale. Da provvisorio, il ricovero divenne definitivo, fino a quando gli sfollati non furono trasferito in seguito al terremoto del 1971.

Non sappiano quale aspetto avesse il convento con le sue celle nel suo interno. Nel 1818 fu completamente ristrutturato, quando venne trasformato in seminario. Nemmeno questa nuova struttura oggi è possibile leggere, a causa delle trasformazioni subite ad opera degli sfollati, ma, soprattutto, del terremoto.

Soltanto il chiostro conserva aspetti originari.

Di stile rinascimentale, esso è ancora in grado di invitare il visitatore al silenzio ed alla meditazione.

Ciascun lato dell’ampio quadrato è delimitato da cinque arcate a tutto sesto, sorrette da tozze colonne poggianti su uno spesso muro, ma l’insieme non è per nulla appesantito; anzi, la teoria delle venti colonne si snoda agilmente lungo tutto il perimetro.

Su ciascun prospetto di tre delle quattro pareti si aprono quattro severe finestre rettangolari con cornice in nenfro per dar luce agli ambienti del primo piano: si interrompe così la monotonia dei muri; e lo sguardo d’insieme è reso ancor più suggestivo dalla parete nord, sulle cui cinque arcate, in luogo delle finestre, si apre un’elegante loggetta con balaustra, scandita da colonnine quadrate collegate da archetti a sesto ribassato: in tal modo l’architetto è riuscito a rendere molto più snelli i diversi volumi con l’alternarsi di pieni e vuoti dell’ambiente claustrale.

Sia al centro della parete nord che in quella sud era dipinta una meridiana, con lo gnomone in ferro, ma ambedue le meridiane sono scomparse in seguito all’eliminazione dell’intonaco, avvenuta con i restauri successivi al terremoto. Così pure sono andate perdute le epigrafi dipinte in nero sull’intonaco delle pareti del chiostro: esse ricordavano la trasformazione del convento in seminario. E’ certamente possibile il loro rifacimento sia perché vi sono numerose fotografie, scattate lungo il corso del XX secolo, sia perché sono state tutte pubblicate da Celestino Masetti, Sulla vita e sulle opere del card. Antonio Gabriele Severoli – Commentario storico, in "l’Album", vol. XX (Roma 1853), p. 3:


PIO VII P. M.
PATRONO LITERARUM AUCTORI SUO
SEMINARIUM THUSCANIENSE
A. MDCCCXVI IV. EID. NOV.
QUO DIE DEDICATUM EST
***
ANTONIO GABRIELI SEVEROLIO
CARD. PONT. THUSCANIENSIUM ET VITERBIENSIUM
QUOD PER EUM
AEDES CUM TEMPLO
FF. AUGUSTINIENSIUM
IN NOVISSIMA ORBIS TURBATIONE PUBLICATAE
D. N. PII VII RESCRIPTO
IN PATRIMONIUM THUSCANICAE PUBIS
BONIS ARTIBUS ERUDIENDAE
SUNT REDACTAE
S. P. Q. T. A. MDCCCXVI
***

FRANCISCO ANTONIO TURRIOZZI
ANTIST. THUSCANIEN. XXIV. PER ANNOS
VICARIO
QUEM OMNES BONI CONSENTIUNT
AMANTISSIMUM PATRIAE SUAE FUISSE VIRUM
EIQUE PRAESTITISSE PLURIMA
EDITIS LIBRIS CONSILIO OPE GRATIA
CURA PRAESERTIM SEMINARII
INSTITUENDI ORNANDI PERFICIUNDI
S. P. Q. T. VIV. P.
A. MDCCCXVI
***
QUOD III. VIRI MUN. THUSCANIEN.
S. P. Q. T. ROGARUNT
VELLENT IUBERENT UTI EX AERARIO
NUMM. ARG. CCCCL QUOTANNIS PENDANTUR
REI LITERARIAE SUBSIDIO
QUODQ. S. P. Q. T. JURE SCIVIT
UTI III. VIRI ROGARUNT
VI. VIRI SEMINARII CURATORES
M. P.
QUO MAGIS INTELLIGANT STUDIOSI ADOLESCENTES
QUANTUM PRAESTARE DEBEANT CIVIBUS UNIVERSIS
FIDE IN PATRIAM ET CHARITATE
A. MDCCCXVI

[1] Ecco il testo dell’epigrafe:
D. O. M.
PETROIOHANNI ET FABRICIO DE POCCIS
NOBILIBUS TUSCANENSIBUS
QUI
AB EXIMIO STRENUOQUE VIRO
MARCO POCCIO
ROMAE A. D. MCCCCXXII DEGENTE
COMITE PALATINO ROMANOQUE CIVE
ORIUNDI
OMNEM LAUDEM NON IN GENERIS NOBILITATE
SED IN MAGNIFICENTIA ERGA PAUPERES IN CHRISTIANA
HUMILITATE ATQUE IN UNA DEMUM VIRTUTE
CONSTITUERE
QUORUM MORTALES EXUVIAE
HIC CENSORIUM EXPECTANT DIEM
FRANCISCUS POCCIUS
FRATRI ET FILIO DULCISSIMIS
SIBIQUE VIVENS ET SUIS
POSUIT
ANNO REPARATAE SALUTIS MDCCXXV

 
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